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Folgorato sulla via di Dublino
Mi sento chiedere spesso da dove arriva questo
mio accostarsi (molti la definiscono 'passione')
ai Celti, le origini e la mitologia, la storia
e gli usi, i costumi e le tradizioni. Io rispondo
che non è un interesse solo mio, ma piuttosto
condiviso da migliaia di persone in Italia e,
soprattutto, all'estero. Gli europei vi ravvisano
le proprie origini etniche, talmente radicate
nel genoma da trascinarsele appresso anche quando
varcano l'oceano. Per citare un solo esempio i
Glasgow Celtics sono un'antica squadra di calcio
scozzese; ma i Boston Celtics sono una compagine
di basket americana ben più recente, dedicata
a tali origini da emigranti europei nel nuovo
continente. E' più forte di noi. Talune
ricette o ricorrenze, il senso della natura e
l'interazione umana così recentemente riscoperta
anche dalle dottrine new age, abilità e
ingegno attribuiti ai Celti (una per tutte la
recente mostra a Palazzo Grassi a Venezia), il
loro riscatto agli occhi del mondo al pari dei
Native Americans (non a caso i Celti sono stati
spesso definiti i pellerossa d'Europa), la modifica
fisionomica dei tratti disegnati dalla latinità
quando li sconfisse (ricordiamoci che la storia
la scrive chi vince la guerra) e li definì
con compiaciuta frettolosità 'barbari',
indistintamente. Tutte componenti che fanno dei
Celti un popolo (non ebbero mai un impero, divisi
com'erano da faziose rivalità e clan sempre
in guerra fra loro per un ardore belluino smodato
e disordinato) cui andava tributata giustizia
nel giudizio. In questo io ho solo cercato di
fare la mia parte.
Poche settimane fa ho avuto il privilegio di scrivere
di quest'etnia per il Corriere della Sera
che ha accompagnato le sue uscite con volumi monografici
dedicati alle grandi civiltà del passato.
Il fatto che abbiano inserito i Celti tra Greci
o Romani, Assiri o Egizi rende loro merito. Ma
non è usuale. E soprattutto è attitudine
recente: come dicevo i Celti sono stati riabilitati
e riscoperti. In quest'ultima parola sta tutto
il significato da attribuire a quest'articolo.
Erano guerrieri di prim'ordine, dotati di un coraggio
comune forse ai Vichinghi. Al punto che molti
faraoni se ne servirono come mercenari affascinati
dal loro valore in battaglia. Furono sconfitti
dalla macchina da guerra ben organizzata dei Romani,
ma prima si concessero lo sfizio di conquistare
e saccheggiare la Roma imperiale nel 390 a.C.
I Romani non giunsero mai, ad esempio, in Irlanda.
Nemmeno Giulio Cesare.
Si dimostrarono orafi ed artigiani abilissimi.
I manufatti ritrovati in tutta Europa sono lì
a testimoniarlo.
Non solo i Romani fondarono città: Milano
ne è l'esempio più vistoso per noi.
Promossero e rispettarono la parità di
diritti tra uomo e donna.
Mica male avere come antenati un'etnia che si
estendeva dalla Galazia Turca sino alla penisola
iberica, dalle isole britanniche alle pianure
che costeggiano il Danubio.
E tutto questo proprio in un'ottica d'Europa unita,
allargata a venticinque, sdoganata, ecc. ecc.
quando ancor'oggi viviamo del tiro mancino che
Babele ci ha giocato facendoci discorrere in lingue
diverse e idiomi incomprensibili fra loro. Molti
secoli prima della cristianità, quando
Roma era ancora un'accozzaglia di capanne, i Celti
erigevano Stonehenge, rimasta a lungo un mistero,
ma soprattutto popolavano il territorio europeo
accomunati da origini, usi, costumi e persino
radici idiomatiche simili in molti territori anche
distanti tra loro.
Certo, progresso nei trasporti e nelle comunicazioni,
globalizzazione (per usare un termine bistrattato
in questi ultimi anni) assieme a integrazione
culturale e razziale hanno stemperato l'istinto
che deriva da queste origini. Purtroppo in un
arco di tempo a mio avviso troppo breve e, soprattutto,
in maniera troppo accelerata. Ma tant'è.
Come scriveva De la Rochefulcault, il progresso
è così: mille cosa avanzano, novecentonovantanove
indietreggiano.
Altra domanda che mi sento porre: come sono arrivato
io ai Celti? Attraverso la porta principale, rispondo:
l'Irlanda.
L'eredità gaelica rimane radicata nel modo
più profondo proprio nell'Isola di Smeraldo.
E io ci sono inciampato sulle tracce di Un uomo
tranquillo. Pare che l'ammirazione per questo
film contagi più generazioni, visto che
è una delle pellicole preferite anche dei
miei genitori. John Wayne e Maureen O'Hara, un'Irlanda
che non è sufficiente descrivere come verdissima,
la rimpatriata di un cast d'oltreoceano accomunato
dalle origini (anche il regista oltre che i protagonisti),
la storia semplice ed appassionata del riscatto
di un ex-pugile americano che fa ritorno alla
semplicità della vita al paesello delle
origini dove trova anche l'amore. Ebbene lo confesso:
io che scrivo di cinema, sono partito per rivedermi
(sognante) proprio quelle indimenticabili locations.
Con moglie e figli al seguito. Come un normale
turista. Per la prima volta in Irlanda.
E ho ritrovato tutto (o quasi). Poi i paesaggi,
ma soprattutto la natura della gente ha fatto
il resto. La semplicità, ma più
ancora la fantasia che da raccontastorie quali
sono a raccontastorie quale sono, hanno trovato
terreno fertile. Impossibile passare una serata
al pub senza 'subire' fantastici racconti o panzanate
giganti sempre propinati al turista per il gusto
di raccontare, per il piacere dell'evasione dal
quotidiano e dalla banalità. Così
da sempre. Gli inverni erano freddi e lunghi.
Le capanne o le misere case non offrivano nulla
se non favole davanti al fuoco del focolare prima,
del pub poi. Come non appassionarsi a questa gente?
Quando il mito prevale sulla realtà, allora
scegli il mito. Sono parole di John Ford, proprio
l'indimenticato regista cinematografico che ho
appena citato. Come non innamorarsi della fantasia
di un'etnia come quella celtica che ha ispirato
fiabe e leggende, esseri fatati e magia, seducenti
racconti e opere letterarie che incantano (e fanno
cassetta, vorrei aggiungere) ancor oggi. Tolkien
e il suo Signore degli Anelli con tutto il filone
Fantasy che si è sviluppato attorno a lui
(cito solo la più famosa scrittrice, Marion
Zimmer Bradley), sino a pellicole come quelle
sugli scozzesi Braveheart o Rob Roy, addirittura
cartoon e lungometraggi come Asterix il Gallico
che hanno colorato non solo la nostra infanzia.
Non spreco nemmeno tempo per citare tutto l'interesse
che continua a svilupparsi attorno al mito di
Artù e dei suoi cavalieri. E per salire
di qualità opere letterarie intrise di
nebbia e brughiere, boschi impenetrabili e sorgenti
mistiche come quelle di Alfred Tennyson e William
B.Yeats, Walter Scott e James Joyce. Senza dimenticare
la musica celtica reinterpretata in chiave odierna.
Non per nulla edicole e librerie sono ormai ben
fornite di pubblicazioni a carattere celtico.
Questo sito internet ne è solo un'interpretazione
in chiave ultima in termini di modernità.
Perché?
Ci affascinano. Ne avvertiamo il richiamo. Atmosfere
e imprese dove l'uomo era ancora piccolo e insignificante
di fronte alle distanze, alla natura, ai misteri
che oggi affidiamo alla scienza e alla tecnologia,
in un mondo dove resta ben poco da scoprire. Almeno
nel visibile.
Mi sembrano così ovvie tali giustificazioni
alle mie risposte che spesso guardo negli occhi
i giornalisti o i conoscenti che me le sottomettono
chiedendomi se le pongono solo per guadagnarsi
lo stipendio o per compiacermi. Eppure me lo chiedono.
Senza scontatezza: quando rispondo loro spesso
sono sinceramente sorpresi anche se ciò
che ho appena descritto è sotto gli occhi
di tutti. Purtroppo il campionato o la politica,
i conti col mutuo per la casa o pagare le bollette
non concedono precedenze.
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