I Celti isolani
C'è chi ha definito i Celti gli "indiani
d'America europei". Calza in senso politico.
Per secoli sono stati oggetto di persecuzione
e sottomissione, conquista e addirittura di genocidio.
<<Si pensi alla soluzione di Cromwell per
l'Irlanda e all'atteggiamento tenuto nei confronti
delle Highlands scozzesi>>, scrive il prof.
Peter Berresford Ellis. <<La lingua celtica
è stata messa al bando dalla legge negli
anni e, specie durante l'era Vittoriana, si è
tentato di sradicarla dalle giovani generazioni
tramite programmi di assimilazione>>. Come
i pellerossa anche i Celti hanno subito una distruzione
sistematica della loro cultura, con sfruttamento
e violenza, sino quasi a relegarli nel limbo delle
civiltà perdute. Cominciando dall'inesorabile
efficacia dell'Impero Romano colonizzatore.
Un caso a sé è rappresentato dai
celti isolani d'Irlanda che -buon per loro- non
hanno mai subito invasioni punitive comandate
in primis da Giulio Cesare.
Ogni studente irlandese (anche quelli in braghe
corte delle elementari) sa che le vicende del
suo paese antecedenti il VI secolo d.C. sono irrimediabilmente
inattendibili. Se non dal punto di vista mitologico
(è il periodo in cui ho ambientato le mie
narrazioni), quantomeno da quello storico. Tranne
poche eccezioni relative a dolmen tombali o cromlech
religiosi incisi in alfabeto ogamico, prima di
allora il tramandarsi del sapere avveniva per
tradizione orale, spudorata sperequazione di casta
imposta dagli stessi druidi. Nessuno che si sia
intrattenuto per qualche ora dentro un pub irlandese
ai nostri giorni scambiando curiosità con
gli avventori più anziani potrà
mai dire che gli abitanti dell'isola di smeraldo
pecchino di fantasia. Deve far parte del loro
genoma: dall'avvento del cristianesimo si hanno
finalmente testimonianze scritte dell'esistenza
di una lunga tradizione letteraria irlandese che
risale all'oscuro periodo antecedente il VI secolo.
Se ci addentriamo dunque nelle testimonianze vernacolari
dei Celti pagani che non conoscevano la scrittura,
è inevitabile spalancare una porta sulla
loro mitologia. Inscindibilmente legati alla religione,
i miti d'Irlanda affrontavano con varie simbologie
quelli che sono poi i temi fondamentali della
vita di ogni uomo da sempre (visto che il trascorrere
delle epoche cambia solo lo stile dei nostri desideri
ma certo non la natura umana): qual è la
nostra origine e chi ci ha creato, qual'é
il nostro cammino e cosa ci sarà dopo.
E così via. Come molti di voi sapranno
bene, esistono tre raccolte di narrazioni (composte
nel XII sec.) relative a quello sconosciuto periodo.
La prima è il 'Ciclo Mitologico' con due
opere: il 'Libro delle Invasioni' (Leabhar Gabhàla)
e la 'Storia dei Luoghi' (Dinnshenchas). Mentre
quest'ultima è una compilazione di località
topografiche interpretate in base alle divinità
di allora, la prima è di gran lunga la
più significativa e narra di una serqua
d'invasioni compiute da popolazioni straniere
e culminanti con l'arrivo dei Gaeli o Celti avvenuto
poco prima di un devastante diluvio. Sebbene si
tratti di una collezione d'informazioni spurie
raccolte con la buona intenzione di fare un po'
d'ordine sulle vicende arcaiche dell'isola verde,
è indubbio che contenga molte verità
storiche; a partire da sbiaditi accenni su usi
e costumi dell'Età del Bronzo e di quella
del Ferro.
La seconda è nota come 'Ciclo dell'Ulster'
e, come specifica il titolo, è riferito
a tale zona geografica. I passi più significativi
sono elencati ne 'La Razzia del Bestiame di Cooley'
(Tàin Bò Cuailnge) dove figure umane
in sembianze di semi-dèi vivono avventure
che spesso travalicano il mito e sconfinano nella
storia evemerizzandosi, ossia esseri divini che
verranno poi reputati figure storiche. Parte di
questa seconda raccolta è inserita nel
famoso 'Libro della Mucca Bruna' (Leabar na h
Uidre), manoscritto devastato dal tempo presumibilmente
vergato sulla pelle conciata di un bovino usata
a mo' di pergamena.
La terza appare più moderna ed è
il 'Ciclo di Fionn' proteso nella narrazione di
tale eroe, delle sue gesta assieme a quelle dei
suoi compagni (i Fianna) e della loro interazione
con il mondo soprannaturale delle divinità
di boschi e acque, animismo radicato poi in tutta
la cultura celtica.
Ho citato quanto di più antico si conosca
in tema d'Irlanda e del suo popolo che parlava
una lingua così particolare. Dopo la preistoria
affrontata archeologicamente, si parte dalle prime
comunità agricole di cui esista prova e
datate circa 3000 a.C. Poi si attraversa l'Età
del Bronzo (in Irlanda attorno al 1500 a.C.) che
permise ai Celti di esportare i propri manufatti,
di farsi conoscere sin nel mondo ellenico che
egizio, di dare inizio a una vera e propria società
celtica. Già nel 200 a.C. Erastotene di
Cirene -colui che governava la grande biblioteca
di Alessandria- aveva correttamente collocato
l'Irlanda nella carta geografica dell'allora mondo
conosciuto. <<I Greci la chiamavano Hierne>>,
scrive Ellis, <<derivante dal genitivo della
forma indigena di Eire>>. A quel punto in
molti iniziarono a scrivere di quest'isola: da
Posidonio di Apamea in Siria fino a Strabone nella
sua 'Geografia'. Da allora l'isola di smeraldo
iniziò a perdere buona parte del suo mistero
storico, ma ne guadagnò sul fronte di quello
fantastico di leggende e magia. Una prova? La
testimonianza proprio di Strabone: per lui gli
irlandesi si cibavano di carne umana, strappavano
il cuore a ogni invasore ed erano selvaggi persino
più feroci dei Britanni. Non c'è
da stupirsi del giudizio di uno storico che collocava
l'Irlanda molto più a nord della Britannia
e con un clima molto, molto più freddo
che convinse Giulio cesare a battezzarla Ibernia
anche se non c'era mai stato.
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